Come saprete, la legge 76/2016 (la Cirinnà) ha definitivamente fatto uscire le cosiddette “coppie di fatto” dalla “clandestinità” presso la quale erano segregate, attribuendone piena dignità giuridica attraverso la possibilità di poterle “registrare” presso l’anagrafe.
Il Legislatore, quindi (con decenni di ritardo), ha preso atto dell’esistenza del fenomeno sociale e si è allineato ad esso, tramutando in legge quello che già i giudici da tempo riconoscevano.
Tra le varie possibilità che vengono offerte alle coppie di fatto che accedono alla registrazione, vi è anche quella relativa alla possibilità di pubblicizzare (tramite, appunto, la registrazione) un contratto di convivenza.
Il contratto di convivenza può contenere tutte le regole relative ai rapporti patrimoniali tra conviventi.
A tal proposito, occorre tener presente che se tra i coniugi, in mancanza di diversa scelta, il regime patrimoniale della famiglia è quello della “comunione dei beni” e quello della “separazione” l’opzione, in presenza di conviventi la regola è inversa.
I conviventi, quindi, se non decidono diversamente, si troveranno in un regime di “separazione” dei beni, ma, volendo, come vale per i coniugi, posso scegliere il regime della “comunione”.
Come?
Occorre sottoscrivere l’accordo (contratto di convivenza) davanti al notaio o ad un avvocato, il quale dovrà poi trasmetterne copia presso l’anagrafe per la registrazione. Una volta registrato sarà reso pubblico e, quindi, opponibile ai terzi.
Gli effetti?
Beh, diversi. Uno, ed il più rilevante, va individuato nel fatto che tutti i beni acquistati, anche singolarmente, da uno dei conviventi, automaticamente diverrebbero di proprietà comune anche dell’altro. Da ciò consegue che, in caso di morte di chi, appunto, ha effettuato l’acquisto, l’altro ne mantiene la proprietà al 50% senza entrare per la successione ereditaria (necessariamente testamentaria, altrimenti il convivente non erediterebbe nulla) e pagare le imposte che ne derivano (per il convivente si applica l’aliquota massima e nessuna franchigia).
Altro aspetto positivo della scelta potrebbe essere quello di una tutela “automatica” del 50% del patrimonio (contro le aggressioni da parte di terzi) del convivente che fa l’acquisto e che, magari, svolge un’attività rischiosa.
Il lato negativo? Ahimè, la rottura del rapporto: se ci si lascia, il patrimonio va diviso “fifty-fifty”.