FAMIGLIA & PATRIMONIO (Giuliana Rapetta)

FAMIGLIA & PATRIMONIO (Giuliana Rapetta)

FAMIGLIA & PATRIMONIO (Giuliana Rapetta) 510 340 admin

Ho avuto il piacere di conoscere Giuliana Rapetta qualche anno fa, durante uno dei miei eventi patrimoniali….

Poi Giuliana letteralmente “ha fatto suo” tutto ciò che potevo offrire ad un consulente patrimoniale….

Ha frequentato il Master, ha partecipato al Perini Top Training, ha divorato il mio materiale ed i miei libri….

Oggi posso sicuramente affermare che Giuliana è una tra i Top Patrimonialisti che ho avuto il privilegio di conoscere e l’opportunità di contribuire a “formare”…

Giuliana però è molto altro…. chi ha avuto l’opportunità di conoscerla ne apprezza sicuramente l’intelligenza, la simpatia e quella sottile ironia che fa la differenza….

Ho il piacere di pubblicare il suo elaborato…. parla di famiglie, parla di patrimonio….

Vi lascio in compagnia di Giuliana.

“Quando finisce un amore, così com’è finito il mio, senza una ragione né un motivo, senza niente”

(Cit. Riccardo Cocciante, “Quando finisce un amore” – 1974)

È un’impresa spesso ardua riuscire a trovare una ragione perché un amore debba finire, perché spesso non c’è una ragione, ma sicuramente vi sono aspetti patrimoniali che vanno presi in considerazione sin “dall’anello di fidanzamento”.

Il presupposto per giungere alla separazione ed al divorzio è l’unione.

Che sia un’unione matrimoniale, un’unione civile o un’unione more uxorio, tutte presentano delle prerogative patrimoniali da valutare prima e durante un’eventuale crisi del rapporto.

Gli ultimi dati Istat presentano un’Italia in cui ci si sposa sempre meno e dove sono in aumento separazioni e divorzi. Una nazione con mutate strutture familiari, quindi con differenti stati civili attraversati durante la vita, con differenti impatti patrimoniali.

Nonostante i giovani si sposino sempre meno per diverse ragioni socioeconomiche, secondo alcune ricerche “sposarsi fa bene perché porta ad uno stile di vita più salutare e mitiga lo stress”.

Non vi è la certificazione che ilrapporto di coniugioporti ad una aspettativa di vita più lunga ma sicuramente conduce a “Diritti e doveri reciproci dei coniugi” (Art. 143 Codice Civile).  Gli sposi nel corso della loro vita in comune devono rispettare “l’obbligo reciproco alla fedeltà, all’assistenza morale e materiale, alla collaborazione nell’interesse della famiglia e alla coabitazione. Entrambi i coniugi sono tenuti, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni della famiglia”.A ciò si sommano i“Doveri verso i figli” (Art. 147 Codice Civile) in quanto“il matrimonio impone ad ambedue iconiugi l’obbligo di mantenere, istruire ed educare la prole, tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli”.

Vocaboli come “doveri”, “obblighi”, “bisogni”, “mantenere” sono indicativi dell’influenza che il matrimonio, e la sua eventuale crisi, hanno in ambito patrimoniale e di come è importante conoscere le diverse opzioni per una scelta consapevole in base alle proprie esigenze e necessità.

La prima importante scelta è sicuramente quella di identificare la nostra metà della mela, che per la legge deve essere di sesso diverso dal nostro (ciò non è richiesto nelle Unioni Civili), con cui convolare a nozze, con tutte le conseguenze di carattere economico che questo comporta circa casa, cerimonia, catering, viaggio di nozze etc. La seconda, e non meno importante, scelta che i futuri sposi sono chiamati a fare è quella di identificare il regime patrimoniale da adottare in costanza di matrimonio e due sono le opzioni: comunioneo separazione. 

In base al regime preferito la legge indica a chi appartengono i beni acquistati durante il matrimonio e come verranno ripartiti in caso di scioglimento di quest’ultimo o di successione ereditaria.

Prima di analizzare le due opzioni che i coniugi hanno a disposizione per gestire i loro beni, è opportuno specificare che il regime patrimoniale prescelto può non essere per sempre, in quanto è possibile variarlo ricorrendo ad un atto notarile: non si tratta, quindi, di una decisione immodificabile. Sarà comunque annotato a margine dell’atto di matrimonio in modo che possa essere conosciuto da terzi.

Si potrebbe esser portati a pensare che contrarre matrimonio in chiesa non implichi detta opzione circa il regime patrimoniale, ma non è così. Sia che la celebrazione sia fatta da un ministro di culto (matrimonio cattolico con effetti civili, detto concordatario) sia avvenga davanti ad un ufficiale di stato civile (matrimonio civile) è possibile, se non addirittura opportuno, decidere.

E se non si sceglie cosa accade? 

La non scelta del regime patrimoniale implica in maniera automatica la comunione dei beni, identificata quindi dal legislatore come il regime adottato di default. La spiegazione di questo risiede nella visione del legislatore di un modello di famiglia attrice nella gestione unitaria dei propri beni sia al proprio interno, che nei confronti di terzi.

Ma cosa indica essere in comunione legale dei beni?

Essa esprime la comproprietà dei beni acquisiti durante il matrimonio a prescindere che siano stati acquisiti assieme o individualmente dai coniugi. Da quindi vita ad un unico patrimonio comune tra loro, che vedono le loro quote al 50%, poiché detti beni, tra i quali rientrano l’azienda gestita da entrambi e costituita dopo il matrimonio, gli incrementi e utili di azienda gestita dai coniugi ancorché costituita prima delle nozze, diventano automaticamente anche di proprietà dell’altro indipendentemente dal reale apporto.

Tutti i beni rientrano in comunione?

No, vi sono delle eccezioni. Ad esempio, tutto ciò che è stato acquistato prima del matrimonio rimane nella titolarità esclusiva del singolo coniuge, così come ciò che deriva da donazione o successione. Anche i beni strettamente personali, quelli che servono all’esercizio della professione o quelli ottenuti a titolo di risarcimento danno o pensioni dovute a perdite della capacità lavorativa sono fuori, salvo diversa decisione dei coniugi attraverso la Comunione Convenzionale, scelta dagli stessi sia prima che dopo il matrimonio, con atto pubblico notarile alla presenza di due testimoni. Essa dà la possibilità di attuare limitate modifiche al regime della comunione, facendovi rientrare anche beni che in base alla normativa ordinaria ne sarebbero esclusi o viceversa escluderne qualcuno. 

Quindi criteri temporali e la destinazione/utilità del bene sono necessari per verificare se i beni sono sottoposti al regime della comunione legale.

Esiste inoltre un modo per escludere la contitolarità, ed è possibile quando il coniuge non acquirente, partecipando all’atto, dichiara di aderire all’intestazione esclusiva ed il coniuge acquirente dichiara che l’acquisto è strettamente personale.

Si può vendere un bene in comunione senza l’autorizzazione del coniuge? 

No. Essendo un atto di straordinaria amministrazione è necessaria l’autorizzazione. Qualora non la si abbia avuta preventivamente, se si tratta di beni mobili, l’atto è valido ma il coniuge che lo compiuto è tenuto riportare la situazione di comunione a quella precedente ad esempio reintegrando con denaro. Se si tratta di un bene immobile, o mobile registrato, l’atto potrà essere annullato entro un anno.

Anche i debiti contratti seguono le stesse logiche?

Bisogna innanzitutto stabilire se l’impegno sia di tipo famigliare ossia contratto nell’interesse della stessa. In questo caso, a prescindere che sia concluso congiuntamente o meno, il debito è comune e ne risponde il patrimonio in comunione che, se insufficiente, viene integrato dai beni personali dei coniugi nella misura della metà del credito. Qualora non si è perseguito, invece, l’interesse della famiglia, nel caso in cui ad agire siano stati entrambi i coniugi, si rientra nella fattispecie di debito comune prima descritto. Altrimenti, qualora il contraente sia un singolo coniuge, sarà lo stesso che ne risponderà con i suoi beni e, se insufficienti, andranno affiancati dai beni in comunione nella misura sempre della metà del credito.

Se nella comunione legale dei beni abbiamo “due cuori ed 1 capanna” nella separazione dei benisempre “due sono i cuori ma due anche i patrimoni” che restano separati, quindi i beni acquistati durante il matrimonio rimangono di esclusiva titolarità di ciascun coniuge che avrà inoltre il diritto ad amministrarli senza interferenze da parte dell’altro. Ovviamente nulla vieta di acquisire beni congiuntamente in questo caso si avrà un regime di comunione ordinaria (1)

(1) Esiste anche la Comunione differita o de residuo: che riguarda i beni oggetto di comunione legale che non diventano immediata­mente comuni tra i coniugi (i beni cioè che cadono nella cosid­detta comunione immediata) ma che restano di proprietà del coniuge che ha compiuto l’acquisto, e diventando comuni esclusivamente nel momento in cui cessa la comunione legale. A titolo di esempio i frutti dei beni personali, le aziende gestite da entrambi i coniugi e costituite dopo il ma­trimonio, i proventi dell’attività separata di uno dei coniugi, gli incrementi dell’impresa costituita anche precedentemente al matrimonio. 

Permane comunque per i coniugi in separazione dei beni l’obbligo di contribuire ai bisogni della famiglia, al mantenimento, istruzione ed educazione dei figli. 

Sempre in riferimento ai debiti contratti dai coniugi la separazione dei beni consente una maggior protezione poiché i beni rimangono intestati separatamente agli stessi, quindi i creditori personali di un coniuge potranno rifarsi solo sui suoi beni, senza poter toccare quelli dell’altro. Ecco perché se in un primo momento la scelta del regime patrimoniale della separazione dei beni può sembrare un atto che rivela poca fiducia nei confronti della propria famiglia è di norma la scelta preferita quando uno o entrambi i coniugi hanno un’attività lavorativa che li espone a rischi economici. 

E’ bene ricordare che il regime della separazione dei beni non è riconducibile alla separazione personale tra i coniugi, ma è appunto un regime patrimoniale alternativo alla comunione.

Prima della riforma del 1975 il regime patrimoniale legale era quello della separazione dei beni. L’unica convenzione matrimoniale applicata era quella diretta a costituire la dote.

Il fondo patrimonialeè un altro regime patrimoniale della famiglia?

No, poiché esso si aggiunge ma non si sostituisce alla comunione legale, convenzionale o alla separazione dei beni. Il fondo può essere costituito da uno o da entrambi i coniugi, ma an­che da un terzo, sia con atto pubblico notarile sia, nel caso di fondo costituito da terzo, per testamento.

La finalità del fondo patrimoniale è quella di vincolare deter­minati beni per i bisogni della famiglia. La legge prevede che l’amministrazione sia regolata dalle norme della comunione legale: da un lato i coniugi non possono disporre liberamente dei beni confluiti nel fondo per scopi estranei agli interessi della famiglia, dall’altro i creditori particolari dei coniugi non potranno, in linea di principio, aggredire detti beni.

Cosa succede quando il rapporto muta e l’amore scema?

Chissà se quando Alexander Graham Bell (il primo inventore a brevettare un telefono funzionale) dichiarò:  “ Il matrimonio riduce a metà i tuoi diritti e raddoppia i tuoi doveri” era consapevole che molti delle attuali separazioni e divorzi hanno come punto di partenza messaggi non cancellati e conversazioni sussurrate?

Ma che differenza c’è tra la separazione e divorzio e qual è l’aspetto patrimoniale collegato alle due differenti fasi del rapporto in crisi?

Se la pausa di riflessione è temporanea la separazione termina con la riconciliazione, in caso contrario da origine al divorzio che fa cessare gli effetti giuridici del matrimonio.

La separazione non pone fine al rapporto matrimoniale ma ne interrompe alcuni effetti.

Può essere Consensualequando i coniugi hanno trovato un comune accordo e stabiliscono insieme i diritti relativi al patrimonio.

L’accordo di separazione, pur non avendo uno schema predefinito, deve comunque contenere la volontà di entrambi i coniugi di interrompere la convivenza, deve indicare l’assegnazione della casa famigliare e gli obblighi di mantenimento, ove ricorrano i presupposti, e nel caso di figli minori definirne anche l’affidamento ed il mantenimento.

Non è comunque sufficiente la sola volontà di separarsi “in armonia” ma necessita, per divenire efficace, della omologazione del Tribunale con apposito provvedimento. Questo per evitare che l’accordo di separazione, anche se assistito da legali, sia contrario agli interessi dei figli o del coniuge più debole.

Come intuibile la separazione Giudizialesi ha qualora non si giunga a definizione in bonis, e viene richiesta al giudice da uno dei co­niugi quando avvengono fatti tali da rendere intollerabile la pro­secuzione della convivenza o da recare grave pregiudizio ai figli.

Se sussistono alcuni presupposti che hanno dato origine alla violazione dei doveri matrimoniali (menzionati in apertura – art.143 C.C.), uno dei coniugi può chiedere al giudice che la separazione sia addebitata all’altro. Il giudice verificherà se effettivamente la crisi coniugale sia stata determinata dal comportamento dell’altro coniuge.

Tizio scopre che sua moglie Caia ha una relazione extraconiugale: può chiedere la separazione con addebito? 

L’addebito non è automatico, ma va verificato il nesso causale tra “tradimento e crisi”, ossia va stabilito se la relazione abbia portato alla separazione.

È importante evidenziare che la separazione di fatto, e cioè senza l’intervento del tribunale (per la semplice omologa, ovvero per la vera e propria pronuncia), non produce alcun effetto giu­ridico rilevante.

Come impatta il regime patrimoniale scelto dai coniugi in caso di separazione?

Quando la separazione diventa efficace se gli sposi avevano adottato la comunione questa si scioglie, diventando comunione ordinariae ciascuno è libero di cedere la propria quota a terzi.s

Un esempio di suddivisione della ricchezza paritaria è apparsa ultimamente su diversi media: la separazione della coppia di Amazon, Jeff Bezos (l’uomo più ricco del mondo) e la moglie Mackenzie, sposati nel 1993, prima della nascita di colosso delle vendite online. All’epoca non stipularono un accordo prematrimonialee dunque, secondo la legge dello stato americano dove si sono uniti, che prevede la comunione dei beni, dovrebbero dividere il patrimonio a metà. 

Tizio e Caia si stanno per sposare e vogliono decidere già oggi, vista la disparità di ricchezze, gli aspetti patrimoniali di un eventuale divorzio. Possono farlo?

No. In Italia non sono ancora ammessi i contratti prematrimoniali, ossia quei patti antecedenti al matrimonio che codificano come verranno intrattenuti/risolti i rapporti patrimoniali della coppia in crisi.(2)

(2) Si specifica che al momento della stesura di questo scritto nella bozza del disegno di legge delega sulle “semplificazioni”, approvato il 12 dicembre 2018 dal Consiglio dei Ministri, è affidata al Governo la facoltà di disciplinare i cosiddetti patti prematrimoniali. Se e quando il disegno dovesse approdare in Parlamento, si avrà la possibilità di una normativa che premetterà la stipula di accordi aventi lo scopo di regolare rapporti personali e patrimoniali, nonché i criteri da seguire per l’educazione dei figli.

Caia in regime di comunione dei beni si separa. Chiede al marito Caio la metà del valore del Rolex da uomo da lei comprato. Può farlo? 

Dipende. Caia deve dimostrare che l’orologio è stato acquistato per investimento e, quindi, è corretta la suddivisione. In caso contrario si tratta di dono/bene personale che non rientra in comunione.

È da ricordare che nel caso sia costituito un Fondo Patrimoniale esso permane in caso di separazione. 

La separazione quali aspetti patrimoniali ha?

Il giudice con la sentenza di separazione può stabilire il mantenimento a favore del coniuge se non soggetto ad addebito e considerando l’eventuale “sproporzione reddituale” tra coniugi, assegno che potrà essere escluso in caso di nuova convivenza del coniuge beneficiario.

Nel caso di figli minorenni verrà stabilito il loro affidamento. Nel caso invece di prole maggiorenne, ma non autonoma dal punto di vista economico, il giudice si pronuncerà sul loro eventuale mantenimento. 

Il coniuge separato, a prescindere dall’addebito, avrà comunque diritto agli alimenti se bisognoso. Questa obbligazione, ispirata alle ragioni solidaristiche proprie del vincolo famigliare, pur avendo natura patrimoniale, non può essere ceduta né pignorata.

Sicuramente importante per noi italiani è l’assegnazione della casa famigliare. Rappresenta spesso terreno di scontro, visto che la legge definisce regole certe solo in presenza di figli. Normalmente viene assegnata al coniuge affidatario di figli minori o non autosufficienti economicamente. 

Nell’accordo di separazione può essere indicata la suddivisione delle spese. L’abitazione oggetto di assegnazione è esente IMU. 

Saranno poi da valutare con specificità la destinazione dell’auto, la divisione del “denaro” e del conto corrente, tenendo presente anche il regime patrimoniale assunto dai separati durante il matrimonio. 

Tizio e Caia sono in separazione dei beni ed hanno un conto cointestato. Caia asserisce che in realtà è tutto suo, poiché è lei la maggiore contributrice degli accrediti pervenuti. È così?

Anche se i coniugi hanno il regime patrimoniale della separazione, il conto intestato ad entrambi si considera di proprietà comune a meno che Caia non dimostri il contrario.

Quali aspetti successori?

Vi sono differenze se la separazione è stata consensuale o con addebito ad un coniuge.

Prima regola: il coniuge superstite separato consensualmente mantiene gli stessi diritti di quello ancora coniugato rimanendo erede legittimario e, quindi, tutelato dalla legge, che prevede a suo favore una “quota riservata”. Lo stesso principio vale se si è richiesta una separazione con addebito che non abbia ancora prodotto effetti giuridici.

Tra i diritti ereditari del coniuge superstite vi è quello di abitazione sulla casa famigliare. Non è però attualmente univoca l’interpretazione data dalla giurisprudenza circa l’applicabilità di tale diritto al coniuge separato in quanto con la separazione viene meno il dovere alla coabitazione.

Seconda regola: il diritto, se riconosciuto e stabilito, al percepimento dell’assegno di mantenimento periodico, cessa con la morte del coniuge obbligato a versarlo.

Per completezza si precisa che le altre cause che fanno venir meno il diritto sono: l’addebito della separazione, la creazione di una nuova famiglia (anche se di fatto) e ovviamente la rinuncia da parte del beneficiario.

Terza regola: al coniuge separato consensualmente, superstite di lavoratore dipendente, spettano TFR ed indennità di preavviso da ripartire con gli aventi diritto, pensione di reversibilità, pensione indiretta e rendite inali.

In caso di separazione è sempre opportuno fare testamento, indirizzando la quota disponibile secondo le proprie volontà.

Le regole sono diverse se la separazione avviene con addebito.

Se è stata pronunciata sentenza definitiva di separazione, il coniuge superstite perde qualsiasi diritto ereditario, diventa a tutti gli effetti un soggetto terzo, ma viene mantenuto il diritto all’assegno alimentare a carico dell’eredità solo se godeva degli alimenti in precedenza a carico del coniuge deceduto. L’assegno potrà essere periodico od una tantum e sarà commisurato alla massa ereditaria ed alla tipologia e numero degli eredi. Non potrà essere comunque superiore alla prestazione precedentemente goduta. 

Caio può prevedere con testamento che, alla sua morte, a Tizia, coniuge separato, venga tolto l’assegno alimentare?

No. Fermo restando lo stato di bisogno detto assegno sarà a carico dell’eredità. 

Relativamente alle somme dovute agli eredi in conseguenza di un rapporto di lavoro dipendente del defunto il coniuge separato con addebito ha diritto a TFR, indennità di preavviso, pensione di reversibilità (misura massima del 60%), indiretta o rendite Inail solo se al momento della successione godeva di alimenti a carico del coniuge venuto a mancare 

Se la separazione non trova riconciliazione si giunge al Divorzio.

Quanto si deve attendere affinché la crisi da temporanea diventi definitiva e si abbia la cessazione degli effetti civili del matrimonio?

Grazie alle modifiche del 2015, con le quali è stato introdotto il c.d. “divorzio breve”, sono sufficienti 6 mesi in caso di separazione consensuale ed un anno nel caso di quella giudiziale.

La richiesta di divorzio presuppone, oltre il trascorrere dei questi termini, la verifica del giudice dell’impossibilità del rappacificamento. Sono inoltre previste altre cause che possono originare la richiesta di divorzio come ad esempio una situazione di rilevanza penale, matrimonio non consumato, etc…

Per accelerare i tempi è possibile richiedere la pronuncia di una sentenza parziale di divorzio. Ciò determina la cessazione degli effetti civili del matrimonio dal giorno del passaggio in giudicato, ma non conclude la causa in corso, atta a trovare una soluzione definitiva per controversie sorte tra i coniugi. La sentenza è sempre impugnabile da ciascuna parte nonché dal Pubblico Ministero limitatamente agli interessi patrimoniali dei figli minori o legalmente incapaci. 

Una volta divenuta definitiva, la sentenza sarà annotata in calce all’atto di matrimonio, a cura dell’Ufficiale dello stato civile del comune dove si sono avute le nozze. Solo allora produrrà effetti nei confronti dei terzi e gli ex coniugi potranno contrarre un nuovo matrimonio.

Quali sonogli effetti patrimoniali e successori del divorzio?

Anche il divorzio vede l’assegnazione della casa famigliare, come prima descritto per la separazione, e la possibile corresponsione di un assegno la cui entità viene stabilita tra l’altro in base alle condizioni economiche dei coniugi, alla durata del matrimonio ed all’apporto dei singoli coniugi alla costituzione/accrescimento del patrimonio famigliare. Nel caso in cui venga erogato in un’unica soluzione, oltre l’accordo tra i coniugi, tale assegno deve essere ritenuto equo da parte del tribunale.

Ci sono eventi che possono portare alla modifica o alla cessazione dell’assegno e sono situazioni personali, nuove nozze del beneficiario, morte di uno dei due.

Con il divorzio si perdono tutti i diritti successori, fatta eccezione all’eventuale assegno che può gravare sugli eredi qualora il coniuge divorziato, non più erede legittimario, si trovi in stato di bisogno.

Tizio dovrà garantire al coniuge divorziato Caia medesimo tenore di vita avuto durante il matrimonio?

La recente cronaca ha evidenziato come la giurisprudenza sia cambiata, basti pensare al caso Lario – Berlusconi (novembre 2017) che ha registrato modifiche nell’entità dell’assegno, che spetta solo se il coniuge beneficiario non possa procurarsi adeguati mezzi di sostentamento.

Da precisare che anche la presenza di figli, il sorgere di altra relazione stabile, l’assegnazione della casa famigliare, l’eredità ricevute dal coniuge obbligato al mantenimento, possono incidere sul quantum dell’assegno.

Per quanto riguarda TFR ed di preavviso, pensione di reversibilità (misura massima 60%) e pensione indiretta, il coniuge divorziato ne avrà diritto solo se titolare di assegno divorzile mensile e qualora non abbia contratto nuove nozze. Alcune specificità per TFR ed indennità: diritto al 40% da valutarsi in base alla coincidenza degli anni di lavoro del de cuiuscon quelli matrimoniali. Le rendite Inail, invece, spetteranno solo se non si abbia un assegno divorzile e non si sia contratto un nuovo matrimonio.

Tizio e Caia hanno costituito un Fondo Patrimoniale: esso rimane valido anche dopo il divorzio?

In linea di principio no poiché cessando gli effetti civili del matrimonio e, quindi, esso si scioglie proprio perché ha come presupposto un valido matrimonio. Esiste tuttavia un’eccezione a tutela della famiglia: esso non cessa se ci sono ancora figli minorenni. In tal caso il fondo dura fino a quando il figlio più piccolo non diventa maggiorenne.

E se i due cuori hanno lo stesso sesso? Oppure, pur in presenza di uno stabile affetto e di convivenza, non si sono sposati?    

La legge “Cirinnà” del 2016 riconosce nelle unioni omosessuali di maggiorenni, che costituiscono un’Unione Civile,mediante dichiarazione di fronte all’Ufficiale di stato civile ed alla presenza di due testimoni, una specifica formazione sociale con tutte le conseguenze giuridiche che ne derivano.

Gli uniti civilmente acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri: in particolare, dall’unione civile deriva l’obbligo alla coabitazione, quello reciproco all’assistenza morale e materiale e quello di contribuzione ai bisogni comuni, in base alle proprie sostanze ed alle proprie capacità di lavoro professionale e casalingo.

Unica differenza rispetto al matrimonio è l’assenza dell’obbligo di fedeltà. Essi possono definire il regime patrimoniale preferito: in alternativa alla comunione, prevista dalla legge, è possibile scegliere la separazione dei beni. 

Dal punto di vista successorio ilpartnersuperstite risulta erede legittimario e, quindi, avrà diritto ad una quota determinata per legge.

Cosa succede se l’unione va in crisi?

Peculiarità delle unioni civili è che non è richiesto un periodo di separazione ma si passa direttamente al “divorzio immediato” che può essere chiesto anche disgiuntamente davanti all’Ufficiale di stato civile. Decorsi tre mesi dalla dichiarazione di volontà di scioglimento dell’unione civile i partner potranno proporre la domanda di divorzio che avrà medesima procedura prevista per le coppie in matrimonio.

Quali sono i diritti patrimoniali e successori conseguenti allo scioglimento?

Anche in questo caso può essere previsto un assegno di mantenimento a favore del partner economicamente più debole.

La casa coniugale ritornerà al partner che ne è proprietario, a meno che non esistano figli da una precedente relazione in qual caso il giudice la assegnerà al partner che ne ha l’affidamento.

La pensione di reversibilità spetta al partner superstite divorziato, così come al coniuge divorziato, ma in presenza di determinati requisiti: deve essere titolare di un assegno di mantenimento, non deve aver contratto una nuova unione civile o matrimonio ed il partner deceduto deve aver maturato i requisiti contributivi e retributivi previsti per legge.

Se al momento della morte il partner superstite percepiva un assegno di mantenimento potrà richiedere che sia a carico dell’eredità, purché versi in stato di bisogno. Il pagamento potrà avvenire, anche in questo caso, mensilmente od in unica soluzione. Se il superstite dovesse passare a nuova unione civile o matrimonio, l’assegno si estingue.

Il beneficiario dell’assegno di mantenimento avrà diritto anche al TFR nella misura del 40% dell’indennità totale commisurata agli anni in cui il rapporto di lavoro è conciso con la durata dell’unione coincide.

La legge “Cirinnà” ha disciplinato inoltre le “convivenze di fatto”: coppie omo od eterosessuali che decidono, in base al rapporto affettivo che li lega in comunione di vita, di convivere stabilmente, senza essere unite in matrimonio/unione civile tra loro. 

È necessario che i conviventi, presso l’anagrafe del comune di residenza, effettuino una dichiarazione con la quale comunichino di vivere nello stesso comune e nella stessa casa. Così facendo la convivenza risulterà dallo stato di famiglia.

Da questa tipo di convivenza deriva l’obbligo di assistersi moralmente e materialmente, il diritto di visita, assistenza e accesso alle informazioni personali ed altri ancora.

Se i conviventi vogliono possono disciplinare in maniera dettagliata le modalità di gestione della vita famigliare con i contratti di convivenza, in assenza dei quali è la legge ad individuare le regole basilari. All’interno del contratto potrà essere inserita la convenzione patrimoniale della comunione come alternativa a quella della separazione che risulta di default. 

Tizio separato convive con Caia e vorrebbe iscrivere questa convivenza di fatto presso l’anagrafe, può farlo?

No. Per poter essere una “coppia di fatto” iscritta non si può essere legati da matrimonio neanche con terze persone. Quindi il separato dovrà prima ottenere la sentenza di divorzio.

Cosa succede se la convivenza di fatto va in crisi?

Per sua natura non è applicabile né la separazione né il divorzio. Gli aspetti patrimoniali di un eventuale scioglimento possono essere inseriti nel contratto di convivenza. 

Alla cessazione comunque il giudice potrà attribuire all’ex convivente più debole, che sia in stato di bisogno, il beneficio degli alimenti che verranno corrisposti dall’altro. Non si tratta comunque di un beneficio illimitato nel tempo poiché sarà commisurato all’effettivo bisogno. 

Secondo la legge, se la casa nella quale abita una coppia in convivenza appartiene ad uno dei partner, l’altro non ha nessun diritto sull’immobile (3).Ove siano presenti figli minori, però, la casa famigliare verrà assegnata al genitore affidatario a prescindere dal titolo di proprietà.

(3) La Corte di Cassazione In una sentenza ha affermato che la convivenza more uxorio, dando vita a un consorzio familiare, determina sulla casa di abitazione comune un potere di fatto basato su un interesse proprio del convivente ben diverso da quello derivante da ragioni di mera ospitalità, e il convivente non proprietario non è un semplice ospite ma un membro della famiglia a ogni effetto.

Quali sono i diritti successori?

Il convivente superstite non vanta alcun diritto salvo un temporaneo diritto d’uso e abitazione sulla casa di comune residenza.

Per questo è opportuno provvedere alla tutela del convivente attraverso testamento, polizze o altri strumenti.

Ciao Giuliana, un forte abbraccio e…. arrivederci a presto.

MASSIMO PERINI – Avvocato Patrimonialista –